Juan Mirò - Arcobaleno e Poetessa 1940

Juan Miró (1893-1983) rappresentò nelle sue tele un mondo immaginario fatto di segni astratti e di figure fantastiche. Le forme si sovrappongono, si accostano tra loro, sospese in uno spazio vuoto. Sembrano scaturire dal sogno, eppure derivano della memoria, che l’artista ha tradotto in immagini attraverso un’opera.

Dunque il suo gesto non è casuale, ma è finalizzato a comporre una sorta di “codice elementare” di segni e di forme. Giunto a Parigi nel 1919, Miró venne a contatto con i Fauves e con i Cubisti, ma rimase soprattutto affascinato dai movimenti dadaista e surrealista. In quest’ambito egli ha elaborato il suo inconfondibile linguaggio, quasi una scrittura figurata: sulle tele si dispongono astri, soli, lune, sagome che ricordano forme umane, animali, vegetali o minerali; e ancora segni a forma di virgole, accenti, asterischi, che derivano dalla semplificazione di elementi naturali e che si muovono entro uno spazio rarefatto. Utilizza solo pochi colori, ma tutti applicati puri, senza sfumature, con prevalenza dei primari. Mirò sperimentò molte tecniche: dal 1930 lavorò ai papiers collés; dal 1944 si dedicò con fervore alla ceramica e alla realizzazione di assemblaggi, successivamente alla decorazione murale e alla progettazione di arazzi.

Juan Mirò, Arcobaleno e Poetessa, 1940. Acquerello su carta, 38,1x47,5 cm. New York, Museum of Modern Art.
  • L’opera appartiene ad una serie di 23 dipinti della serie delle Costellazioni, realizzati in Normandia durante l’esilio a causa della Guerra Civile di Spagna.
  • Si compone di innumerevoli segni leggeri, concatenati da andamenti lineari continui, entro uno sfondo che sembra sorreggerli e allo stesso tempo farli navigare nel vuoto.
  • Anche se la loro disposizione è apparentemente casuale, forme e colori si dispongono in un equilibrio complessivo.
  • L’artista ha spiegato che le forme gli sono state suggerite contemplando il cielo, in una sorta di “dialogo” con la volta celeste.
  • Solitudine e ammirazione per il cosmo si fondono nell’opera: “Sentivo un profondo desiderio di evasione. La notte, la musica e le stelle cominciarono ad avere una parte sempre più importante nei miei quadri”.
  • Nell’opera è abolita la simmetria, sono assenti i volumi e nessuna forma prevale sulle altre. Anche per questo domina la bidimensionalità.
  • Miró non ritiene che queste sue opere siano astratte, poiché l’immaginazione e il pensiero hanno le loro radici nell’esperienza della realtà.

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