Periodi e movimenti

Andy Warhol, Orange Marilynl 1964

L'opera, polimeri sintetici e inchiostro serigrafico su tela, cm 101, 6 x 101, 6, composta nel 1964, è conservata in una collezione privata. 

La business art è il gradino subito dopo l'arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business. Dopo aver fatto la cosa chiamata "arte", o comunque la si voglia chiamare, mi sono dedicato alla business art. Voglio essere un business man dell'arte o un artista del business. Essere bravi negli affari è la forma d'arte più affascinante. Durante l'epoca hippy la gente aveva rifiutato l'idea del business e diceva: " i soldi fanno schifo " e " lavorare fa schifo ", ma far soldi è un'arte, lavorare è un'arte, fare buoni affari è la migliore forma d'arte”. (Andy Warhol).

Così Andy Warhol si presenta, indicando una scelta che rivela la stretta correlazione fra la Pop Art, di cui egli può essere considerato uno degli esponenti più significativi, e il mondo del commercio. Pittore, grafico e regista di origine slovacca, timido, fino al punto di ritenersi brutto, anche a causa del suo essere albino, egli dice di sé ne La filosofia: "Avevo anche un altro problema di pelle: ho perso tutta la pigmentazione a otto anni." Macchia "era un altro soprannome che mi era stato affibbiato... Lo so che ho un aspetto tremendo, e non amo vestirmi bene o essere attraente perché non voglio che mi capiti di piacere a qualcuno... Lo so che sono brutto. Ho fatto in modo di essere particolarmente brutto... Quando hai i capelli grigi, ogni normale movimento che fai sembra " giovane e scattante ", così quando avevo 23-24 anni mi sono tinto i capelli di grigio".

Verso la metà degli anni '60 Andy Warhol si accosta alla grafica seriale per aumentare le tirature su carta e permettere una distribuzione più ampia delle sue opere, in sì da metterle alla portata di un più vasto pubblico. Ripete i temi dei suoi dipinti su tela precedenti o anche contemporanei. Le opre che ne risultano ripropongono le immagini dei suoi dipinti, ma trattate in modo diverso, grazie all'uso di gamme cromatiche che le deformano e le modificano. Benché in serie, dunque, ogni tavola è diversa da un'altra. Agli inizi degli anni '70 Warhol si dedica con molto entusiasmo ai ritratti dai quali ricava gran parte dei crediti annuali. Per realizzarli elabora una procedura alquanto complessa, che prevede almeno una sessantina di foto del soggetto messo in posa. Dalle sessanta foto egli ne individua e sceglie quattro da stampare su acetato. Selezionata la più adatta fra tutte, questa diventa la base sulla quale operare le trasformazioni ritenute necessarie: allungare il collo, rimpicciolire il naso, rimodellare le labbra o modificare il colore della carnagione.

È una forma di chirurgia grafica che esprime in maniera inequivocabile i complessi che l'artista si porterà dentro tutta la vita. Completato il lavoro estetico di deformazione, la foto viene portata a un ingrandimento di quaranta per quaranta e poi trasformata in serigrafia. Il concetto di produzione in serie è fondamentale per un artista che fa di questa tecnica la sua ragione di vita. "Qualcuno ha detto che Brecht voleva che tutti pensassero allo stesso modo. Io voglio che tutti pensino allo stesso modo. Ma Brecht lo voleva attraverso il Comunismo, in un certo senso. La Russia lo sta realizzando con il governo. È quello che sta avvenendo qui indipendentemente da un rigido controllo governativo; per cui se funziona senza cercarlo, perché non dovrebbe avvenire senza il Comunismo? Tutti si rassomigliano e agiscono allo stesso modo, ogni giorno che passa, di più. Penso che tutti dovrebbero essere macchine. Penso che tutti dovrebbero amarsi.

Domanda: È tutta qui la Pop Art? 

Risposta: Si. È amare le cose. 

Domanda: E amare le cose vuol dire essere come una macchina?

Risposta: Sì, perché si fa continuamente la stessa cosa. Si ripete sempre la stessa cosa. Penso che qualcun altro dovrebbe essere capace di fare i miei quadri. Non sono riuscito a fare tutte le immagini chiare e semplici e uguali, come la prima è. Penso che sarebbe fantastico se più persone si servissero del silk-screen così che nessuno potesse riconoscere il quadro mio da quello di un altro". (Andy Warhol: intervista con G.R. Swenson, in "Art Newus", n. 7, New York, 1963, da Alberto Boatto, Pop Art in USA , Ed. Lerici, Milano 1967).

Al fine di rendere più veloce questa tecnica serigrafica, l’artista fa preparare da suoi collaboratori interi rotoli di tela con il fondo colorato delle due tinte utili alla carnagione dei ritratti, scuro o più rosato a seconda se destinati a uomini o donne. Servendosi di carta copiativa sotto carta da ricalco trasferisce l'immagine dall'acetato sulla tela, sulla quale poi dipinge le parti colorate. Una volta pronta la serigrafia, vengono aggiunte alla tela le parti già colorate e i dettagli della fotografia. Naturalmente i contorni dell'immagine non coincidono perfettamente con i colori previsti e questo contribuisce a dare ai dipinti di Warhol quel senso di ambiguità determinato dal "fuori registro". Orange Marilyn deve il suo nome al colore dello sfondo, un monocromo arancione nel quale si incastra il giallo acceso dei capelli "macchiati " da aggressive pennellate nere, che ottengono la volumetria della chioma.

Anche il volto è aggredito da una pesante zona d'ombra sulla guancia sinistra e da due macchie grigie a sottolineare gli occhi, come un trucco pesante che contrasta violentemente con l'inafferrabile sguardo languido e seducente della diva. Le labbra sono deformate da un rosso cupo che lascia vedere il bianco dei denti quasi come corpo estraneo. Un foulard grigio-azzurro spunta dalla nuca, riprendendo il colore grigio-azzurro dell'ombretto. A distanza di venti anni Warhol annota nei suoi diari, alla pagina del 29 luglio 1984: "Hanno un mio quadro in ogni stanza... Sono andato nel salone dove c'era una Marilyn sopra la mensola del camino, in una cornice dorata, ed era proprio bella. Sembrava un quadro da un milione di dollari. Era proprio giusta per quella stanza tutta " americana ". Però vorrei aver dipinto meglio a quei tempi. Il colore non è dato un granché bene. Allora non sapevo come darlo bene. E nella stessa stanza col Jasper Johns c'era il mio Merce Cunningham. E sulle scale Mona Lisa".

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