romana

Creazione romana o copia di un originale greco forse di Policleto (430-420 a.C.). Rinvenuto a Pesaro nel 1530, fu interpretato come Dioniso/Bacco e fu posto sulla elaborata base commissionata da Francesco Maria I della Rovere, con riferimenti al dio (nei pannelli laterali l’apoteosi di Arianna, che il dio sposerà, e il sacrificio del capro, animale a lui sacro).

La statua riprende il modello della figura addormentata, utilizzando in epoca ellenistica per raffigurare fanciulle ed Eroti. Tale iconografia è però maliziosamente variata per creare sorpresa nello spettatore, che ha inizialmente l’impressione di una donna dormiente, per poi accorgersi della duplice natura sessuale della figura una volta giunto ad osservare il lato opposto. L’archetipo delle sette repliche note del tipo è probabile tardo-ellenistico (II-I sec. a. C.).

Rappresenta una lupa che allatta una coppia di piccoli gemelli, Romolo e Remo, leggendari fondatori di Roma. Abbandonati in una cesta sul Tevere, furono allattati dalla lupa e riuscirono a sopravvivere. La scultura (bronzo fuso a cera persa) è probabilmente opera di un artista di Veio.La lupa è raffigurata in posizione stante.

Il personaggio ci appare saldo sulla sella, con il volto compiaciuto e sicuro: è Marco Aurelio, l'imperatore che ha portato pace e stabilità in un impero travagliato. Il grande condottiero è qui raffigurato in un monu­mento equestre, cioè una statua di dimensioni colos­sali con un personaggio famoso a cavallo. È un importante genere della scultura antica, che i Romani hanno perfezionato e che gli artisti successivi hanno continuato ad imitare.

Nei cinque secoli di dominio, Roma tese a unificare, culturalmente ed economicamente, una vastissima parte del mondo antico, dall’Atlantico fin oltre la Mesopotamia, dall’Inghilterra fino all’Egitto e al Nord Africa, anche le città più lontane conobbero le leggi del diritto romano.

Copia romana in marmo greco (assemblata da due statue diverse) di un originale greco di età ellenistica che probabilmente rappresentava una Nike (Vittoria), la "Donzella che balla” fu particolarmente ammirata da JJ. Winckelmann per la leggiadria del panneggio, nel suo opuscolo dedicato alle manifestazioni della grazia nell’arte antica, elemento per lui distintivo dello stile bello dell'arte greca, che informava non solo l'essenziale, cioè la figura umana nelle sue espressioni e azioni, ma anche «l'accidentale delle figure antiche», ovvero gli ornamenti e le vesti.